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Maggio 23, 2020

Un ingranaggio lento, inutilmente complesso ed inefficiente

In questo capitolo si parlerà degli studi di Michel Crozier (1922-2013), sociologo e politologo francese. Come avrete già intuito dal titolo il tema del giorno è la burocrazia: spero che una rilettura delle analisi dell’autore sull’istituto contabile parigino e sul monopolio dei tabacchi possano aiutarci a leggere in chiave moderna l’incapacità della Pubblica Amministrazione italiana di innovare e di innovarsi.

In ordine cronologico, la prima ricerca fu quella sull’istituto contabile parigino dipendente dal Ministero delle finanze. Qui il lavoro era svolto da personale quasi interamente femminile, con ritmi regolari e autonomia nello svolgimento dei singoli ruoli. Nessuna cooperazione. I carichi di lavoro erano stabiliti in modo impersonale, per decisione superiore dei vertici. L’ecosistema burocratico in oggetto, per come descritto da Crozier, portava ad una struttura interna rigida caratterizzata da dipendenti che rispettavano gli orari ma davano il minimo sindacale, con una ricerca della socializzazione “fuori” dall’organizzazione. In generale una elevata intensità di lavoro, ma una scarsa efficienza complessiva. La frustrazione per questa trasversale mancanza di soddisfazioni si faceva sentire sia tra le impiegate sia tra i dirigenti intermedi, che non potevano fare altro che godere della sicurezza del posto fisso e delle libertà personali.

Il monopolio dei tabacchi era simile, nel suo essere statico: ruolo garantito a vita, retribuzioni uguali per tutti, principio di anzianità. Diverso nel suo poter essere confrontato al mercato libero dal quale differiva perché non ne seguiva le logiche, tanto che il profitto era imposto per via amministrativa. I privilegi insoliti conquistati dall’essere assunti in questo ambiente generavano soddisfazione, ma contemporaneamente portavano alle tipiche ostilità in-group / out-group di chi voleva preservarli. Osserva il sociologo come il potere non sia distribuito uniformemente ma al contrario, come la direzione centrale non facesse altro che perseguire obiettivi imposti da un esterno “distante” con metodi e processi ampiamente collaudati; i quadri intermedi non avevano alcun potere decisionale nei confronti della classe operaia, erano meri esecutori.

La burocrazia francese, insomma, era figlia del taylorismo e del fordismo. Non era perfetta, tuttavia. Non era puramente razionale. Il potere dei vertici generava piccoli spazi di potere personali, che dipendenti ed operai sfruttavano per dare genesi a pressioni e negoziazioni. Questo era particolarmente vero per le persone che avevano determinate conoscenze o ruoli non predeterminabili, difficilmente conformabili ai meccanismi ed alle procedure standard. Le lotte di potere interne diventano un circolo vizioso di regolamentazioni sempre più stringenti che remano in direzione opposta del cambiamento, portando la burocrazia a radicarsi ulteriormente e stabilizzarsi sempre più. L’unica possibilità di mutamento è, apparentemente, una crisi.

La Francia non è l’Italia. Molti degli elementi dell’analisi di Crozier riconducono ad un’identità francese, ai tipici tratti della cultura e della storia del paese. Possiamo tuttavia fare nostro l’auspicio dell’autore di un processo di modernizzazione della Pubblica Amministrazione che non abbia genesi nella crisi del sistema, bensì nell’innovazione tecnologica e culturale. L’avvento dell’informatica prima, della globalizzazione e di internet oggi, offrono l’opportunità di ripensare le strutture classiche e di riporre fiducia nei singoli soggetti come agenti di cambiamento: le persone non devono essere più costrette ad una sola mansione ben delimitata senza potere discrezionale, ma possono a pieno titolo assumersi rischi ed elaborare progetti di crescita.

“Stato modesto, Stato moderno” venne concepito e scritto nel 1987, pubblicato in Italia nel 1988. L’inossidabile resistenza al cambiamento di quelli che John Perry Barlow definiva “stanchi giganti di carne ed acciaio” rendono ancora il testo attuale a distanza di 32 anni. Rendendo attuali anche le soluzioni proposte ai tempi: una linea di leadership sana ed incentrata su fattori umani, importanti investimenti in formazione, recupero della competenza come valore in sostituzione dello status o del grado, un processo di cambiamento efficace e partecipato (non indotto forzatamente dalla politica). Restituire dignità al lavoro pubblico, oggi, è possibile e doveroso.

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