Premetto al post del blog di oggi le mie scuse per il titolo un po’ criptico: mi sono permesso di paragrafare uno dei miei sociologi preferiti, il francese Edgar Morin, che alla veneranda età di 99 anni ancora non perde occasione di decifrare il mondo che ci circonda. Ogni volta che mi comporto così, uno specialista SEO soffre. Riportando spezzoni dell’articolo linkato:
Ogni individuo, spiega Morin, proprio in quanto soggetto ha «due quasi-software in sé». Il primo è un software egocentrico, fondato sul nesso «me-io» che lo situa e lo posiziona nel mondo e gli permette di nutrirsi, difendersi, vivere. Il secondo è il rapporto «noi-tu»: l’empatia originaria, la relazione, un noi dentro il quale l’io può uscire dalla membrana solipsistica e realizzarsi pienamente. […] Mutualismo, associazionismo, cooperazione attiva sono alla base della fraternità aperta.
Proprio dal concetto di mutualismo e di fraternità vorrei ripartire oggi, perché se veramente esiste un ecosistema basato sui principi elencati da Edgar Morin questo è sicuramente il cyberspazio. Subcultura hacker in primis perché l’hacker non è l’informatico cattivo come perennemente dipinto dai media, bensì qualcuno che agisce mosso da empatia. Arrivo al come, ma serve una breve parentesi.
Più sfoglio i social, più mi rendo conto che la percezione da parte della popolazione degli attivisti digitali è deformata e parziale. Il problema di fondo è la connotazione negativa che si associa a queste persone, un problema di natura meramente comunicativa. Ecco che Agenda Digitale va a perdere un po’ della sua credibilità rilanciando mirabolanti comunicati della FAPAV (Federazione per la Tutela dei Contenuti Audiovisivi e Multimediali) senza avere la minima cura di filtrare verità e menzogne, dando al lettore l’idea che la pirateria informatica ed il file sharing siano un danno all’economia italiana per oltre un miliardo di euro quando (udite, udite!) un serissimo studio sul tema commissionato dalla Commissione Europea concluse che “non ci sono prove a supporto dell’idea che le violazioni del copyright che avvengono online rimpiazzino le vendite“. Piccoli dettagli, insomma.
La teoria dell’etichettamento, elaborata dalla scuola di Chicago, va duramente a colpire il web come medium. Proprio questo suo connettere istantaneamente le persone viene visto come un pericolo da arginare per i governi di tutto il mondo, perché può dar origine a derive anti-sistema. Per esempio, divulgare programmi segreti di spionaggio illegalmente portati avanti dalla National Security Agency statunitense ai danni di tutti i netizens (cittadini della rete, indipendentemente che fossero cittadini USA o meno, ndr) è palesemente un reato da stigmatizzare e perseguire. Anche se un tribunale a 7 anni di distanza dai fatti decide di condannare – nero su bianco – le attività della NSA: il perdono di Snowden che vorrebbe il Presidente Trump, infatti, “deriderebbe la forza lavoro impegnata nella sicurezza nazionale“. Eppure là fuori non ci sono solo whistleblowers del calibro di Edward S. o Julian Assange, ci sono piccoli eroi – persone normali – che decidono di far emergere attività moralmente sbagliate che vivono nel quotidiano. Solo durante il periodo “coronavirus” negli States si sono registrati casi di infermieri penalizzati professionalmente per aver criticato l’insufficienza di dispositivi medici, o dipendenti Amazon licenziati per aver messo in discussione i protocolli di sicurezza aziendali. L’ago della bilancia tra libertà e sicurezza pende sempre a favore della sicurezza quando invece è evidente il compito di uno Stato debba essere in primis quello di tutelare le libertà costituzionalmente previste e, solo in secondo luogo, abusare della necessità di sicurezza della gente per preservare il suo status di potere.
Terzo ed ultimo argomento di questa bozza di manifesto sulla solidarietà digitale, ma giusto perché non ho voglia di perdere un weekend a tirar fuori esempi dal mio magico cilindro, è l’istruzione. Recentemente in Gran Bretagna si è assistito al concretizzarsi del profetico “tutti i modelli sono sbagliati” dello statistico George Box, per esempio, con un fallimentare algoritmo che avrebbe dovuto sostituire gli esami di ammissione universitari (non tenutisi causa Covid-19). Una formula matematica classista che ha penalizzato soprattutto chi partiva da situazioni economiche svantaggiate che ricorda, come ci fa notare il Prof. Salmeri, il modello che l’Italia decise di applicare nell’estate 2013 per l’ammissione all’università in modo da minimizzare le differenze di “generosità” nei voti tra nord e sud. Se l’automazione dei giudizi non fosse già sufficiente a delineare una mancanza di empatia tra i vari livelli istituzionali nel mondo della scuola, ma qui evito di dilungarmi troppo perché scontato, sempre la scuola è caduta nel tranello del capitalismo 2.0 affidando nella maggior parte dei casi tutta la sua infrastruttura IT ai più ben noti colossi: Google, Microsoft, Amazon. Un problema grave che necessiterebbe di profonde riflessioni e di decisioni drastiche, forse addirittura di una “battaglia per la (nostra) sovranità digitale“. Dove quel “nostra” è un termine molto labile e volatile che potrebbe riferirsi ad un ambito nazionale, o addirittura comunitario come vorrebbe la Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen. Una svolta urgente e prioritaria da attuare, a priori, se si pensa che il Sud Italia è la pacchia dei cyber criminali. L’opensource ha tutti i requisiti per essere rientrare di diritto nella definizione di fraternità aperta di Edgar Morin, della quale parlavamo in apertura.
Ripetiamolo senza posa: tutto ciò che non si rigenera, degenera: vale anche per la fraternità, ma questo la rende ancor più preziosa, fragile come la coscienza, fragile come l’amore la cui forza è tuttavia inaudita
IT Manager, System Administrator, Sociologo, Politico a tempo perso. Vicentino, classe 1991.
Questo è il mio blog personale, nel quale cerco di proporre analisi e ragionamenti di attualità nei temi in cui sono più preparato. Scopri di più nel mio curriculum vitae, o mettiti in contatto con me!