Partendo da questo tweet di Mariana Mazzucato, economista facente parte della task-force presieduta da Vittorio Colao per la ripartenza nella fase 2 “coronavirus”, possiamo sviluppare qualche ragionamento interessante.
Se ci sono lavoratori “chiave” o “essenziali” in economia, il passo seguente è riconoscere la parte “essenziale” dell’economia che necessita finanziamenti, nutrimento e ripensamento massiccio. Il corollario è comprendere quanto valore può essere estratto dalla parte “non essenziale” e invertire questa cosa.
Per capire questo messaggio bisogna tornare un po’ indietro nel tempo, alla definizione del concetto di homo oeconomicus. Teoria economica classica, eh, nulla di più. L’homo oeconomicus non è altro che un modello di studio, una iper-semplificazione del comportamento umano, in cui l’individuo oggetto di analisi agisce mosso puramente da razionalità con unico fine quello di soddisfare i primi interessi individuali. Ne deriva un intero filone di studi su come questi soggetti orientino la loro azione in modo da trarne il massimo profitto, che portano alla formulazione della cosiddetta funzione di utilità.
Riguardo al tweet: se l’economia fosse distinguibile in “essenziale” e “non essenziale” sulla base di un fattore oggettivo, questo dovrebbe necessariamente essere espressione di un utilitarismo puro. In altre parole, una società che ha come scopo quello di massimizzare l’utilità sociale e quindi garantire “la felicità maggiore per il maggior numero di individui”.
Chiunque abbia un’infarinatura sociologica, tuttavia, potrà confermarvelo. L’homo oeconomicus non esiste. Non ha alcun senso cercare di comprendere un’entità complessa riducendola e semplificandola: attingendo a piene mani dall’olismo, il tutto è più della somma delle parti di cui è composto. In fin dei conti un bene è utile quando idoneo a soddisfare domanda, e secondo questa definizione persino una sigaretta potrebbe essere considerata “utile”, nonostante dannosa per la salute, in quanto desiderata dal popolo. Tutto questo mi richiama lo psicologo Abraham Maslow e la sua piramide dei bisogni, che graficamente esprimeva la realizzazione della singola persona a partire dalle sue necessità di base, in modo progressivo fino a quelle meno importanti:
Nell’homo oeconomicus, di tutto questo, non esiste traccia. Lo stesso Vilfredo Pareto (prima economista e poi sociologo) si rese conto che le azioni umane sono suddivisibili in logiche e non logiche, che l’operato umano è innescato da impulsi, istinti e sentimenti che definirà “residui”. La seconda parte di cui sono composte le azioni, le “derivazioni”, sono invece le giustificazioni che gli uomini si danno per razionalizzare quanto fatto e darne, auto illudendosi, una spiegazione logica. Potrei citare altri studi, da Max Weber fino a Ludwig von Mises, ma mi dilungherei troppo; confido che questo post possa anche essere spunto di approfondimento. Avrei invece piacere nel citare Carl Menger, fondatore della scuola austriaca di economia (che ha dato genesi a teorie e movimenti libertari e liberisti), che ben trasmette il concetto di “valore”:
Per gli abitanti di un’oasi, che hanno a disposizione una sorgente, la quale copre perfettamente il loro fabbisogno di acqua, una certa quantità della stessa non avrà alla fonte alcun valore. Se però la fonte, a causa di un terremoto, diminuisse di tanto che la soddisfazione dei bisogni degli abitanti di quell’oasi non fosse più assicurata completamente […], allora quest’ultima acquisterebbe per ciascun abitante un valore. Ma questo valore scomparirebbe non appena il primo rapporto si ristabilisse e la sorgente riavesse la sua prima abbondanza.
Cerco di approcciarmi ad una conclusione. E’ impossibile trovare una discriminante oggettiva che separi beni utili e beni inutili, così come le aziende importanti da quelle meno. Al massimo sarebbe possibile trovare una definizione soggettiva, individuale o collettiva, rapportata ad un determinato contesto sociale e culturale e mutabile radicalmente nel tempo. Anche se questa definizione venisse scritta nero su bianco, sarebbe poi necessario dividere le imprese sulla base dei codici ATECO, e già sappiamo come questo schema possa facilmente essere eluso. Non avrebbe forse più senso, invece di tassare le aziende che generano profitti su beni e servizi “inutili”, ridurre la pressione fiscale sui beni di prima necessità? Anche qui, se il motivo per si è agito a livello legale è lampante, verrebbe da chiedersi su che basi ci si sia mossi nello scegliere. Secondo quale logica gli assorbenti femminili (salvo quelli biodegradabili e compostabili) hanno IVA al 22%, con il 68% degli italiani favorevoli alla tassazione agevolata, mentre prodotti come il tartufo o il francobolli da collezione hanno imposta ridotta al 10%?
Pericolose incoerenze, e pericolosi ragionamenti economici da evitare assolutamente. La crisi cambierà profondamente le nostre scale di valori, ma non è compito della società decretare il valore delle cose.
IT Manager, System Administrator, Sociologo, Politico a tempo perso. Vicentino, classe 1991.
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